I punti in cui si articola

• Integrare i principi dello sviluppo sostenibile all’interno delle politiche e dei programmi dei paesi e invertire la tendenza alla perdita di risorse ambientali
• Ridurre la perdita di biodiversità raggiungendo, entro il 2010, una riduzione significativa del tasso di perdita
• Dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone che non ha accesso all’acqua potabile e agli impianti igienici di base
• Entro il 2020 raggiungere un significativo miglioramento delle condizioni di vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli

Lo stato dell’arte al 2005

La maggior parte dei paesi si è impegnata a introdurre principi di sviluppo sostenibile nelle politiche e nelle strategie nazionali. Si sono anche intesi sull’attuazione di importanti accordi internazionali.

millenium 19Ma le buone intenzioni si sono tradotte in progressi insufficienti per invertire la tendenza al degrado del nostro capitale ambientale. Anche le regioni che hanno realizzato grandi progressi nel raggiungimento di altri Millennium Development Goals, come parte dell’Asia, tendono ad avere risultati poveri rispetto alla questione ambientale.

Una inversione di tendenza nella perdita di risorse ambientali , incluse le foreste, le diversità biologiche e lo strato dell’ozono sulla terra, sono tra gli obiettivi del Millennium Development Goal 7, con l’accesso garantito alla fornitura di acqua, adeguati sistemi fognanti e piano abitativo decoroso e sostenibile per i poveri del mondo. Sebbene il progresso relativo ad alcune di queste aree sia incoraggiante, in complesso il quadro è fosco.

Le foreste coprono un terzo della superficie terrestre e costituiscono uno dei più ricchi ecosistemi. Contribuiscono anche alla sopravvivenza di più di un miliardo di persone costrette in estrema povertà. Durante i dieci anni dal 1990 al 2000 le foreste si sono ridotte di 940.000 chilometri quadrati, un’area grande quanto il Venezuela, per essere state convertite in latifondi e adibite ad altri usi. Ma ci sono segnali positivi. Pratiche di gestione sostenibile delle foreste, tra cui l’attività agricola forestale e la riforestazione, vengono sempre più spesso utilizzate per ridurre la pressione sulla terra e migliorare la vita delle comunità che abitano nelle foreste o al loro limitare.

Più del 13 per cento della superficie terrestre, 19 milioni di chilometri quadrati, sono aree protette, un aumento del 15 per cento dal 1994. L’espansione di aree protette è incoraggiante, ma non sempre la loro gestione rispetta gli obiettivi della conservazione. Di più: l’ambiente marino è assai poco rappresentato con meno dell’1 per cento di ecosistemi marini protetti. La perdita di habitat e di diversità biologica continua con più di 10.000 specie considerate a rischio.

Lo strato di ozono nella stratosfera assorbe le radiazioni ultraviolette, che sono state collegate alla maggiore incidenza di cancro della pelle e ad altri pericolosi effetti sulle specie viventi. Attraverso una cooperazione globale senza precedenti l’uso dei fluoroclorocarboni (CFC) – responsabili della riduzione dello strato di ozono – è stato ridotto a un decimo dei livelli del 1990. Il consumo mondiale cadde da 1 milione e 100 mila tonnellate di potenziale di riduzione dell’ozono (ODP) nel 1986, prima dell’adozione del Protocollo di Montreal, a circa 91.000 tonnellate di ODP nel 2002, con circa 90.000 tonnellate consumate dai paesi in via di sviluppo. Nonostante questi progressi, la riduzione di ozono nella stratosfera resta una preoccupazione dal momento che restano alte le concentrazioni di cloruro e bromuro e il recupero dello strato protettivo di ozono, pur facendo passi in avanti, è atteso solo per la metà del ventunesimo secolo.

Le emissioni pro capite di anidride carbonica, fonte principale dell’effetto serra responsabile del cambiamento climatico, sono aumentate nei paesi in via di sviluppo e sono rimaste stabili nel gruppo di paesi industrializzati che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto (noti come “Annex I Parties” “Aderenti dell’Allegato 1”). A livello mondiale le emissioni pro capite sono un po’ diminuite, soprattutto come il risultato del declino nella produzione industriale nelle economie in transizione negli anni ‘90.

I progressi nell’efficienza dell’energia e l’accesso a tecnologie e carburanti puliti sta procedendo. Ma il trasferimento di queste nuove tecnologie ai paesi in via di sviluppo, dove il bisogno di energia ha subito un’impennata, non sta procedendo a un passo sufficientemente rapido. Modelli di consumo razionale tra i paesi più ricchi possono aiutare a garantire la sostenibilità dell’ambiente. Per contrasto, circa metà della popolazione mondiale dipende da combustibili solidi, tra cui legno, escrementi, residui di raccolti e carbone, per soddisfare i loro più elementari bisogni di energia. Nelle case l’inquinamento, dovuto alla combustione di tali carburanti, determina più di 1 milione e 600 mila decessi all’anno, soprattutto tra le donne e i bambini.

L’accesso all’acqua potabile e un sistema fognario elementare sono componenti indispensabili di una primaria cura della salute, di sviluppo umano e una condizione imprescindibile per vincere la guerra contro la povertà, la fame, la mortalità infantile e il raggiungimento dell’uguaglianza tra uomo e donna. Negli anni ’90 sono stati fatti progressi nell’incrementare l’accesso a sorgenti di acqua potabile più sicure. Ma più di un miliardo di persone ancora non ne possono usufruire. La distribuzione procede lenta, soprattutto nelle aree rurali dell’Africa e negli slums urbani. Progressi ancora più lenti sono stati fatti nel mondo per migliorare la copertura fognaria. Si stima che 2 miliardi e 600 mila persone – che rappresentano metà del mondo in via di sviluppo – manchi di bagni e di altre forme di miglioramento nell’igiene. Secondo le tendenze registrate tra il 1990 e il 2002 poco meno di 2 miliardi e 400 mila persone saranno ancora prive di strutture sanitarie migliori nel 2015, più o meno tante quante oggi. La situazione è più tragica nell’Africa subsahariana e nell’Asia meridionale.

La rapida urbanizzazione del mondo in via di sviluppo sfida la capacità dei paesi di rispondere non solo all’esigenza di acqua potabile e strutture igieniche, ma anche alla necessità di proporre un piano edilizio dignitoso e non troppo costoso. Quasi 1 miliardo di persone in tutto il mondo – almeno 1 su 3 tra chi abita in città – vive in baraccopoli e circa 200 milioni di nuovi abitanti di slums si sono aggiunti alle comunità urbane tra il 1990 e il 2001, con un incremento del 28 per cento.